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Kill Hill

Traduzione di un racconto breve di Dan Abnett che tratta degli Iron Snakes, un capitolo di Space Marines famoso per le gesta eroiche individuali dei suoi confratelli.

Priad della Damocles, degli Iron Snakes di Ithaka, indossa la sua armatura grigio ardesia, una spalla marcata dal serpente a spirale blu su campo bianco.
Iron Snakes. Indomabili. Implacabili.

L’ora si avvicina. La resa dei conti. La fine della lotta. La conclusione del dovere. La superficie della sua armatura è ricoperta di un milione di piccole scheggiature, graffi e bruciature.
Il posto si chiama Bar’ad Atyok. Nella lingua dei Pelleverde, significa Kill Hill. È la vetta più alta del continente occidentale su Koram Mote. Priad della Damocles, degli Iron Snakes di Ithaka, lo sa per certo. Lo sa perché non c’è un posto, nemmeno una singola parte del continente occidentale di Koram Mote in cui non sia stato, che non abbia ispezionato, dove non abbia eliminato dei nemici e che non abbia conquistato.
Sa che la Kill Hill è la vetta più alta perché il display della visiera del suo elmo gli dice così, con otto decimali. È sessantuno metri più in alta di Osh Tarr (“Blood Peak”), e solo sette metri più alta di Bar’ad Onkgrol (“Marrowbone Hill”). È oggettivamente la vetta più alta del continente occidentale di Koram Mote, ed è quello che conta.
Il Vox-signal da Ithaka era chiaro: punto di estrazione, geo-struttura più alta/continente occidentale.
I Pelleverde lo aspettano fra le rocce mentre sale. Un altro giorno su Koram Mote. Altri nemici da uccidere, sempre nemici da uccidere.
Un altro giorno su Koram Mote. Solo che questo è l’ultimo.
Priad della Damocles, degli Iron Snakes di Ithaka, porta ancora il suo Bolter con sè, anche se è senza munizioni dal settimo anno di guerra, dopo che ha esurito tutte le scorte arrivate tramite capsula d’atterraggio. È un’arma troppo bella e preziosa per abbandonarla. Priad imbraccia la sua spada potenziata e il suo Artiglio Fulmine. Funzionano ancora. Aveva anche fabbricato una lancia ma l’aveva perduta la scorsa notte, conficcata nello stomaco di un Warboss Pelleverde sulle pendici inferiori di Bar’ad Atyok.
Un posto buono come un altro dove lasciarla.

Il primo dei Pelleverde lo assale, ululando di rabbia. Sono tutti uguali: bocche piene di denti marci che sputano e imprecano, i loro corpi animaleschi dipinti di ocra, gesso e guano. Lance e mannaie lo colpiscono. Altri piccoli segni sulla superficie della sua armatura.
È qui da quindici anni. Quindici anni. E i Pelleverde non hanno ancora capito che non possono ucciderlo. Non lo uccideranno mai. Restasse qui ancora più a lungo, presto la vetta più alta del continente occidentale sarebbe il tumulo di cadaveri di Pelleverde ammassati da lui.
Affronta il primo: i giunti di armatura rinforzati si irrigidiscono per resistere alla collisione, lo respinge, ingaggia il secondo e lo decapita. Muore mentre sta ancora lanciando un grido di guerra, e l’aria sibila e sfugge dalla sua carotide mentre scaglia via il cadavere.
Gocce di sangue nell’aria.
Il terzo. Un’ascia dalla testa d’acciaio fa scintille colpendo lo spallaccio di Priad. L’Artiglio Fulmine colpisce gola e petto, forando la carne come fosse cartone bagnato. Un quarto. La sua spada gli stacca un braccio e l’ascia che tiene in mano. Priad scalcia, il suo colpo potenziato scaglia il Pelleverde mutilato giù per il ghiaione scivoloso. Cade di testa. Afferra la sua ascia ancora in volo, mentre sta ruotando e precipitando, mentre il braccio staccato perde la presa. Si sta muovendo così velocemente che è come se il tempo avesse rallentato per aspettarlo, come se il Pelleverde avesse lasciato l’arma a mezz’aria appositamente per lui, come se l’aria stessa la stesse trattenendo per Priad come farebbe un servitore obbediente. Prende l’ascia, si volta, la pianta in faccia al quinto Orko. Spruzzo di sangue. Su, su per il pendio.
Priad della Damocles, degli Iron Snakes di Ithaka, è qui da quindici anni. Per la mente umana, è un lungo periodo di tempo. Per una Guardia Imperiale, sarebbe un lungo e spietato viaggio all’inferno. Per Priad è un dovere, una missione di occupazione, un compito. Oneroso, forse, Estenuante, ma alla fine solo un’altra missione sul suo registro di servizio, solo un’altra azione nel passare di una vita funzionalmente immortale se non spezzata da morte violenta. Non vede l’ora di rivedere Ithaka. Gli manca Karybdis, la luna fortezza, la Sala Capitolare. Non vede l’ora di vedere i suoi fratelli della Squadra Damocles. Non vede l’ora di celebrare il Rito del Ritorno. Queste sono le uniche consolazioni che si permette, gli unici conforti per la sua residua umanità che concede a una mente che non è stata altro che un’arma per quindici anni. Non vede l’ora di parlare con un’altra anima per la prima volta da quando è iniziata l’impresa. Il silenzio è stato lungo. Non vede l’ora di pulire e rammendare la sua armatura, di lucidare i milioni di graffi, di riparare il suo Bolter, di dormire un po’ per davvero, in modo più completo rispetto ai periodi di mezzo riposo strappati al suo nodo catalepsico per non abbassare mai la guardia.

Quindici anni.
Trattieni i clan di Pelleverde a Koram Mote, gli disse il Capitano. Tienili occupati. Attira la loro attenzione. Sfoltisci i loro numeri. dacci il tempo di condurre la Flotta di Battaglia Reef Star contro i loro mondi di origine e di purificarli.
Quanto tempo ci vorrà per manovrare la flotta in posizione? Chiese Priad.
Non molto Quindici anni.

Totalmente ragionevole. Per un momento, Priad si era preoccupato che potesse essere un periodo di tempo significativo. Il grande Petrok aveva trascorso due secoli a tenere Ankylos, quello si che probabilmente era stato un lavoro noioso. Gli Uomini d’Acciaio sono meno divertenti da cacciare dei Pelleverde.
Sta raggiungendo il vertice. Uno dei soli sta sorgendo a sud. La luce è gialla, arriva lateralmente. Vede un punto luminoso, come una stella discendente, a ovest. Luci in movimento. All’interno della sua visiera, riceve un segnale acustico e un’icona si illumina.

Due minuti alla fine. Gli ultimi due minuti di quindici anni.

Ci sono Pelleverde in cima. È diventato un mito per loro, un mostro, che da quindi anni li caccia e li uccide in tutto il continente occidentale. Lo vogliono morto, ma non possono ucciderlo. Ne taglia uno a metà con la sua spada, ne massacra la faccia a un altro con gli Artigli. Un Warboss gli viene incontro, due volte la sua dimensione, ridendo come un folle, un rumore tale da assordare, l’ascia alzata per tagliarlo in due. Enorme, ma così lento. Priad della Damocles, degli Iron Snakes di Ithaka, gli salta sopra, si lascia cadere alle sue spalle, taglia con la sua spada la colonna vertebrale spessa come un tronco d’albero, recide la sua gola mentre il Warboss cade a terra, il vasto corpo incapace di muoversi. Priad mozza le gigantesche mani insanguinate mentre si contorcono e dimenano in un ultimo disperato tentativo di afferrarlo.
Alla fine, vibra il colpo di grazia.
“Ithaka!” grida, la prima parola che ha pronunciato ad alta voce in quindici anni su Koram Mote, e l’ultima.
La Thunderhawk lo raggiunge, si ferma in alto e atterra su Kill Hill, aprendo la rampa mentre i suoi propulsori urlano.
I quindici anni sono finiti.
Si chiede cosa gli faranno fare domani.